La via Judeca al termine di via Duomo, poco discosta dalla “Chianca amara”, ricorda la presenza degli Ebrei in Vieste. Oggi il rione si è notevolmente ridotto prima a causa del terremoto del 1646, che fece precipitare a mare alcune case e un tratto della strada lungo la “Ripa” e, qualche anno fa, per la demolizione di altre abitazioni che si erano rese pericolanti. Un tempo questa via era munita anche di porte per proteggere gli abitanti, specie durante la Settimana Santa, dal furore dei fanatici desiderosi di vendicare la morte di Cristo e le case erano collegate fra loro da passaggi segreti che venivano utilizzati in tempo di emergenza. Anche se era uno dei posti più belli, per posizione e strutture architettoniche, veniva spesso considerato come il ghetto degli emarginati, soggetti a soprafazzioni e a violenze. Se è impossibile, per la scarsezza dei documenti, dire l’epoca del loro insediamento, si può però attestare che già a Vieste, come Siponto e a Trani, nel sec. X d. C., una colonia numerosa. Anzi “siponto occupava un posto di rilievo nella cultura ebraica. Fiorivano in essa poeti e commentari dei testi sacri e legislativi. L’impulso per gli studi giuridici veniva dalle lontane rice del Tigri, dove diversi ebrei sipontini si erano recati per ascoltare, all’accademia di Pumbedita, le lezioni di R. Hai Gaon (998-1038)”. Tra i personaggi più illustri contava il poeta R. Anana ben Marinos (fine XI sec.)., Ysaac ben Melchisedeq (1090-1160), il primo italiano che ha commentato la Mishnab e suo figlio R. Yudah, il grande rabbino che Beniamino da Tudela ha citato fra i dotti di Salerno. Quando la città di Siponto andò distrutta (sec. XIII) la colonia si scolse: Alcune famiglie si trasferirono a Vieste e nei paesi limitrofi. Da un codice conservato a Parigi si apprende che gli Ebrei di Vieste non si dedicavano soltanto al commercio, all’artigianato e alle attività finanziarie, prima fra tutte quella del prestito del denaro, praticavano anche l’arte della tintoria con eccellenti successi e si applicavano, più per vocazione che per fine di lucro, alla scienza della medicina. Il manoscritto contiene anche le prime tre parti di un trattato di chirurgia, La cyruegia”, che fu ricopiato a Vieste nell’anno 5216 dell’era ebraica, ossia nel 1456 dell’era volgare, da Isaac ben Salomon Del Bari. La cyrurgia di Guglielmo da Saliceto (vissuto a Piacenza tra il 1210 e il 1277) era l’opera fondamentale che trattava tutte le malattie esterne, e i metodi d’intervento e di cura. Isaac l’ebbe in prestito da un altro medico ebreo locale, la tradusse dal latino in ebraico e se la trascrisse per suo uso e proprietà. Doveva essere un grande dotto, ed era noto anche come trascrittore di codici, fra cui il Libro dei Viaggi di Beniamino da Tudela e il Gioiello perfetto, grandisa opera medica, che tradusse dall’arabo in ebraico. Era un medico scrupoloso e attento, uomo molto sensibile e arguto osservatore dalla battuta facile e pungente come lo si può dedurre dall’epigramma che egli stesso aveva scritto in calce alla Cyrurgia.
Disse il tempo allo stolto: Fà il medico, uccidi gli uomini e prendi le loro ricchezze.
Sarai superiore agli angeli della morte perchè essi uccidano l’uomo per nulla.
Senz’altro intendeva ammonire, con sottile sarcasmo e maliziosa sagacia, che non bisogna intraprendere alla leggera l’arte nobilissima della medicina.