LE MIGRAZIONI ELLENICHE

“Tra l’VIII e il VI secolo a. C. si assiste all’espansione, particolarmente intensa, dei Greci nel Mediterraneo centro-occidentale e nel Ponto. Essa fu originata da cause varie: eccedenza di popolazione, difficoltà economiche, dissensi politici, organizzate migrazioni, relazioni commerciali. Inizialmente prevalse la ricerca di nuove terre per una popolazione eccedente; poi dal sec. VII, la ricerca d’asilo s’accoppia alla vera e propria colonizzazione commerciale”. L’espansione greca ebbe per teatro anche le coste delle Isole e della Penisola Italiana. Infatti, tra il 750 e il 650 a. C. sulle coste ioniche, adriatiche e tirreniche coloni greci si stanziarono, fondando città e dando impulso allo sviluppo della civiltà locale, fino ad allora rettasi sulla pastorizia e su una primitiva agricoltura. Le colonie, che furono dette Magna Grecia, raggiunsero “un grado di prosperità economica e commerciale che i centri della madre patria per lo meno durante alcuni secoli non toccarono mai. Siracusa, Crotone, Sibari, Taranto, Efeso, Mileto non hanno, riscontro se non in due sole città della madre patria, Atene e Corinto”. In questo periodo approdi di coloni greci si ebbero anche sulle coste della Daunia. La leggenda di Diomede, eroe della guerra di Troia, che lo fa rivivere nei nostri luoghi tra l’VIII ed il VI sec., sarebbe un chiaro indizio di approdi e di colonie stabilite sui lidi della Daunia da parte dei più antichi naviganti Etoli-Locresi, i quali dovunque si stabilivano portavano il nome e il ricordo di Diomede, loro eroe nazionale. Il Ferri ritiene, però, che questo “Diomede è il re dei Bistoni traci. Come tale ha combattuto a Troia, ma nel campo Troiano, non coi Greci che l’hanno poi adottato nell’epica come eroe argivo. La prova si ha dal fatto che egli approda nella Daunia garganica portando sulla nave una zavorra di pietra delle mura di Troia, evidentemente per fondare una nuova Ilio. Proprio come Enea… “. I nuovi venuti, come è noto, dovettero lottare con le genti locali. “Queste guerre tra Greci e indigeni e tra indigeni stessi sono l’espressione di una in coesione etnica della gente daunia dipendente dal vario e difforme sviluppo che nel suo seno ebbero le comunità subappenniniche, tuttavia coerenti sul terreno politico e militare quando si trattava di difendere l’aggregato, il villaggio, il clan gentilizio.

Un riflesso è nella ricordata leggenda di Diomede coinvolto nelle vicende locali di Daunio”. Le lotte non si limitarono al possesso delle terre, ma anche ad ostacolare la penetrazione di culti estranei all’ambiente religioso autoctono, come quelli di Calcante e di Podalirio, che finirono segregati al Gargano. “Gli interessi greci si intersecarono con quelli locali variamente combinandosi o adeguandosi alle situazioni, come è proprio di una attività colonizzatrice. Per conseguenza, fermo restando quanto vi è di ellenico nelle città magno-greche e nelle zone di loro influenza, la civiltà japigia del VII-VI sec. a. C. e quella Daunia in particolare ne acquisirono elementi essenziali per l’economia: la moneta e la grafia. La monetazione indigena, che usava iscrizioni in lettere greche, si impose più tardi forse di pari passo con la diffusione della lingua messapica, che in Daunia presenta influssi oschi. Grafia e moneta influirono notevolmente nella svolta della civiltà daunia”. Tuttavia, non manca chi ritiene che le cause che portarono i Greci ad invadere la Daunia furono di natura esclusivamente commerciale. Non eroi, dunque, ma mercanti furono i nuovi venuti. E’ questa l’opinione del citato Petro- ne, il quale così scrive: “La finalità commerciale e l’assenza di scopi politici emergono a prima vista, ed appare indubbio anche che essa non ha potuto sorgere e mante- nersi così a lungo, se non sorretta da un pieno assenso delle popolazioni locali, fondato sulla base di una reciproca convenienza. Del resto ogni ipotesi di dominio da parte dei Greci cede al più sommario esame. Erano pochi, perché scarsa la loro gente: venivano da lontano e, dati i mezzi di navigazione dell’epoca, durante tutta la stagio- ne invernale si trovavano completamente tagliati fuori dalla loro base di provenienza. Invece, la natura commerciale dell’opera, oltre che chiara, è anche perfettamente spiegabile. I Greci, infatti, dediti agli affari per indole, esperti navigatori ed arbitri delle vie del mare, erano in quei tempi gli intermediari indispensabili negli scambi fra le merci di varie e lontane provenienze, che si praticavano in natura per l’assenza della moneta; mentre gli Apuli scarseggiavano di attitudini e dì mezzi per collocare la loro produzione esuberante, procurandosi in cambio quei generi di prima necessità che la regione non offriva.

E’ più che comprensibile, quindi, una stretta intesa fra Apuli produttori e Greci commercianti, nella quale ognuna delle parti trovava il suo tornaconto. Ed è anche perfettamente comprensibile il diretto interessamento di questi ultimi alla produzione della lana, fonte per essi di movimento com1nerciale e conseguente guadagno; interessamento chiaramente dimostrato dalla loro presenza nei luoghi di pascolo invernale o di obbligatorio passaggio, ai quali con ogni probabilità corrispondevano anche altrettante stazioni di mercato della lana raccolta. Dal complesso di quanto abbiamo detto si può ragionevolmente concludere che l’azione esercitata dai navigatori Etoli-Locresi nell’Apulia è stata di natura esclusivamente commerciale e fondata principalmente sull’esportazione della lana in essa regione prodotta. Quale sia stata invece la merce da essi introdotta in cambio della lana esportata non è possibile con eguale sicurezza stabilire, ma, tenendo presenti le condizioni dell’epoca e i bisogni delle popolazioni, con grande probabilità, deve essere stato il rame, metallo indispensabile all’economia umana fino a quando non fu ben sostituito dal ferro, e che scarseggiava nell’Italia meridionale peninsulare. La spiegazione da noi data alla leggenda di Diomede porta a vedere i Greci venuti in Apulia sotto l’aspetto di semplici mercanti e non di eroi, siccome si è generalmente abituati a raffigurarli. Questa che viene a sembrare una palese contraddizione non è invece tale e dipende soltanto dalla mancata considerazione che il concetto di eroismo e degli eroi avuto dai Greci nell’antichità differisce radicalmente dal nostro. Mentre noi lo facciamo fondamentalmente consistere in un sacrificio per una nobile idea, gli antichi Greci, di ciò non tenendo alcun conto, lo basavano esclusivamente sul successo e su un’eccezionale abilità personale dimostrata nel conseguirlo, vincendo difficoltà ritenute insuperabili dai comuni mortali. E sotto questo ristretto punto di vista greco, in una epoca di civiltà primordiale, in cui le lunghe traversate sul mare erano sconosciute e, per l’innato timore dell’ignoto e per i scarsi mezzi a disposizione e la mancanza di pratica, sembravano quasi impossibili, non può negarsi che una impresa di lunga navigazione, come quella dai Locresi tentata e felicemente compiuta, non avesse presentato tutti i caratteri per essere giudicata eroica e, come tale, degna di venire tramandata da essi ai posteri, attribuendola all’eroe Eponimo della loro stirpe”.

Nel Gargano i primi coloni greci giunsero tra il VII e il VI sec. a. C. Provenienti dall’Etolia, essi sbarcarono a Vieste, dove trovarono una popolazione già civile con proprio culto religioso (Demetra). Di qui poi estesero la loro influenza in tutta la Daunia. In particolare, tale epoca è indicata da alcuni esemplari di ceramica ellenica, facenti parte del corredo funebre di alcune tombe venute in luce in località “Carmine”, e risalenti ad epoca non anteriore al VI sec. a. C. A indicare, invece, il luogo di origine di questi coloni sono alcune monete, le quali dimostrano che essi provenivano da una città greca chiamata Oiniade. Era questa una “importante città commerciale dell’antichità, posta su di un’isola del mare Jonio, vicino alla costa greca e di fronte alla foce dell’Acheloo, oggi Aspropotamo, il cui corso navigabile rappresentava un’ottima via di penetrazione all’interno. La funzione marittima di Oiniade non ebbe però lunga durata; già raggiunta nell’antichità e poi inclusa dal delta proiettato dal fiume, le sue rovine sono ora presso Trikardokastron a quindici chilometri dal mare”, tra l’Acarnania e l’Etolia. “I navigatori di Oiniade venuti nel Gargano formarono di Vieste la loro stazione principale nell’Adriatico per la sua posizione sporgente sul mare e più ancora perchè fornita di porto naturale (ora interrato) sufficiente e sicuro; ma si diffusero anche in tutta la regione, prevalentemente sulle coste, scorgendosi traccia certa della loro presenza negli antichi nomi . . . Essi denominarono il luogo che gli abitanti indigeni chiamavano Vesta, parimenti Oiniade come la loro città di origine, seguendo, come gli affini Locresi in Apulia, il costume generalmente adottato dalle genti greche nei primi tempi di attribuire il nome della madre patria alla sede centrale delle colonie che andavano ad impiantare. “La principale produzione commerciale del Gargano negli antichi tempi, che spiega la venuta dei Greci, nello stesso modo come alla produzione della lana è da attribuirsi la presenza di altri greci affini in Apulia, era quella della porpora, che veniva fabbricata nella sede in cui si stabilì la colonia di Oiniade, cioè Vesta, estraendola da un particolare mollusco (murex trunculus) che anche oggi è frequente sui fondi rocciosi delle sue rive di levante e di mezzogiorno, ma che allora era ben più abbondante, essendo questo carattere di rocciosità comune anche alla riva settentrionale, ora ridotta a bassi fondi e spiagge.

“E’ da credersi che a questa industria della porpora, certamente valorizzata ed amplificata dai greci (il nome locale del mollusco da cui si estraeva, caparrone, nel dialetto dorico nettamente esprime la sua proprietà tintoria: capà dorica per catà, preposizione intensificativa, ed erezo, voce propriamente dorica tingo), si limitasse nei primi tempi l’attività della colonia, provvedendo all’esportazione la città d’origine. In prosieguo, però, necessità di cose venne a determinare i suoi abitanti, già resi esperti nella lunga navigazione, ad esportare direttamente la produzione propria, sostituendosi in questo ed in tutto il restante traffico marittimo a Oiniade greca, divenuta inadatta”. Un vasto deposito di gusci infranti di questo mollusco venne in luce a Vieste nel 1923, durante i lavori di fondazione dell’edificio scolastico. Lo strato, trovato ad una profondità di tre metri, aveva uno spessore di mezzo metro e correva, per una lunghezza di sei metri, lungo l’asse della trincea scavata per la fondazione del muro perimetrale, dimostrando di continuare ancora, per cui si ritiene che la quantità venuta alla luce rappresenta soltanto una piccola parte dell’intero deposito. Si deve ritenere, inoltre, che il deposito costituiva lo scarto della lavorazione, dal momento che accanto ai gusci infranti furono trovati anche gusci interi, appartenenti a molluschi giovani della stessa specie, che dimostrano come gli esemplari troppo piccoli venivano scartati, unitamente alle conchiglie di altra specie. Per consentire la continuazione dei lavori fu necessario estrarre una quantità di materiale conchiglifero valutata intorno ai 6 metri cubi circa.

Nello stesso luogo, trent’anni prima erano state rin- venute alcune sepolture “ben conservate, sicuramente attribuite ad epoca preromana”. Un altro gruppo di Greci, secondo il Pascale, sarebbe sbarcato nel Gargano dal 554 al 407 a. C., accogliendo in tal modo l’appello dei Sipontini, che spesso venivano molestati dai valorosi e agguerriti abitanti dell’antica Uria. Costoro, infatti, soprattutto perché tormentati dalla malaria, sloggiavano frequentemente e numerosi, molestando gli abitanti delle coste garganiche e in particolare il territorio di Mattinata. I Sipontini, non potendoli scacciare con la forza delle loro armi, perché scarsi di numero, chiesero allora aiuto ai connazionali (Siponto sarebbe stata fondata, secondo il citato Pascale, dai Greci di Creta nel 694 a. C.) della vicina Grecia, offrendo in compenso parte del loro vasto territorio. I Greci risposero all’appello e molti di essi si stabilirono a Siponto, che fortificarono e ampliarono, mentre altri ancora fondarono, allora e nei due secoli successivi, nella Daunia e altrove varie città.